20 aprile 2018 – 20 aprile 1993

20 aprile 2018
25° anniversario del dies natalis di don Tonino

«Fra 25 anni anch’io regalerò qualcosa a voi…» * don Tonino


 

* Ricordi di Luigi Bettazzi

* don Tonino al ritorno da Sarajevo

Non contristatevi * L’ultimo «Ti voglio bene»
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Pagina Evento | A cura della  Redazione dontoninobello.info
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* Grazie…! per questa meravigliosa giornata, insieme

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Ecco ciò che Don Tonino (che nell’ottobre del 1980 era parroco a Tricase (Lecce)) scrisse nell’imminenza della visita pastorale che Giovanni Paolo II compì ad Otranto – il 5 ottobre 1980 – per rendere omaggio agli 800 martiri della città, nel V centenario della loro uccisione:

«È venuto Giovanni Battista che non mangia pane e non beve vino, e voi dite: ha un demonio. È venuto il Figlio dell’uomo che mangia e beve, e voi dite: ecco un mangione e un beone…».  

La gente trova sempre da ridire. Ai tempi di Cristo, come ai nostri tempi. Qualunque cosa si faccia. Venticinque anni fa si diceva che, invece che pontificare dalla torre d’avorio del Vaticano, il Papa, anche se vecchio, avrebbe fatto meglio a girare il mondo per conoscerne i problemi. Oggi che il Papa è giovane e corre da un punto all’altro della terra, ci si lascia sorprendere dalla nostalgia di un Papa sedentario! 

«Perché questo spreco di unguento? Si poteva vendere a caro prezzo e darlo ai poveri…».  

I noiosi contabili della carità stanno in agguato dappertutto. E dalla casa di Simone il Lebbroso sgusciano fino ai nostri giorni mormorando: «Quanto spreco di denaro per un Papa che viene! Sarebbe meglio investirlo in opere utili per la povera gente!». Ma è probabile che la povera gente non sappia che farsene dei calcoli di questa gelida computisteria. Ed è ancora più probabile che disprezzi in cuor suo l’ipocrisia di coloro che, fingendo di ignorare le infinite occasioni mancate per il riscatto sociale di questa provatissima terra, vorrebbe privarla oggi dell’onore di ospitare, sia pure per un giorno, un così illustre pellegrino. 

«C’era una gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone, che erano venuti per ascoltarlo… e tutta la folla cercava di toccarlo…».  

Il Vangelo tace: ma non è difficile immaginare il coro delle farisaiche disapprovazioni nei confronti di Gesù: «La gente gli corre dietro. Li ha stregati tutti! Sono come pecore…». Oggi, per un Papa che galvanizza le folle, il vocabolario è più raffinato, ma non meno gravido di sospettosa acrimonia. Si parla di trionfalismo, di plagio di massa, di transfert, di inconsci processi di identificazione, di tecniche del consenso… 

Il fatto è che sfuggono a molti i misteriosi equilibri che sottostanno alla vita della Chiesa. Un «osanna» è stato già pagato con cento «crucifige». Di fronte a un Cristo applaudito dalle folle, c’è un Cristo che muore nella solitudine più nera. E oggi, alle spalle di un Papa acclamato dalla gente, c’è il sacrificio di Ottocento Martiri che giustifica, pareggia e sopravanza tutti gli evviva del mondo. 

«Benedetto colui che viene nel nome del Signore…».  

Ma che cosa viene a fare il Papa qui da noi? Che senso ha il suo viaggio in Terra d’Otranto? Sarà un omaggio al folkore? Sarà una concessione all’accademia festaiola? Sarà un momento di enfasi celebrativa? Sono gli interrogativi che tornano più insistentemente in questi giorni e ai quali bisognerà attendere la conclusione del viaggio di Giovanni Paolo II per dare una risposta. 

A chi è allenato, comunque, a scorgere il filo che sottende i grani di questo rosario di viaggi compiuti dal Papa, non è difficile intuire le ragioni di questa discesa pontificia nel nostro profondissimo Sud. Il desiderio di rendere omaggio agli ottocento Martiri, ma anche alla terra che li ha espressi. L’ansia pastorale di restituire freschezza alla fede delle nostre genti, caricandola di una valenza che stimoli all’impegno, al cambio, al rinnovamento. La volontà di privilegiare e di stimolare alla speranza un popolo povero, di cui i potenti della terra non sembra tengano gran conto. La prospettiva di investire di una vocazione ecumenica le nostre Chiese salentine, geograficamente e culturalmente le più protese a Oriente. 

Riusciranno le comunità ecclesiali di Terra d’Otranto a dare nitidezza a questi propositi del Papa e a evitare, agli scettici di casa nostra, l’insinuarsi del dubbio che la sua visita venga davvero compiuta «nel nome del Signore?». 

«Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi…».  

Vorremmo che, sollevandosi in aereo per partire dalla nostra terra la sera del 5 ottobre, il Papa potesse pregare così: «Benedici, Signore, questo popolo dignitoso e forte, travagliato da secolari ingiustizie, ma abituato a soffrire e a morire in piedi, come il martire Primaldo. Fa’ che conservi sempre la sua dignità e che, per un pezzo di pane, non accetti mai il baratto di piegarsi dinanzi a nessun pascià della terra. Donagli un futuro carico di promesse. E liberalo dalla retorica dei suoi capi. Amen!». 

* don Tonino Bello, ottobre 1980.

keynote: Ai piedi di Pietro


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SETTE PONTI DA ATTRAVERSARE (di Renato Brucoli)

La metafora del ponte è preziosa per fare sintesi dello storico evento, e soprattutto per fare nostri i contenuti.

Per condividere la testimonianza di don Tonino Bello, «credente con i piedi per terra e gli occhi al cielo», Papa Francesco ha indicato sette ponti da attraversare.

IL PONTE «MINORITÀ»
«Tonino, il nome semplice e familiare che leggiamo sulla tomba, racconta il suo desiderio di farsi piccolo per essere vicino, di accorciare le distanze, di offrire  una mano tesa. Dice anche la sua salutare allergia verso i titoli e gli onori, il suo desiderio di privarsi di qualcosa per Gesù che si è spogliato di tutto».
Umile architettura francescana!

IL PONTE “CONCRETEZZA»
C’era «gente paralizzata dal discutere sulle parole di Gesù, anziché pronta ad accogliere il cambiamento di vita da Lui chiesto. Don Tonino augurava di accogliere  questa novità di vita passando finalmente dalle parole ai fatti. Gesù non cerca le nostre riflessioni, ma la nostra conversione».
Da un “ponte di parole” a un “ponte di fatti”!

IL PONTE «CHIESA ESTROVERSA”
È quello che porta in città, anzi che «entra in città». «Siamo chiamati tutti a essere servitori del mondo, ma da risorti, non da impiegati. È bello essere “corrieri di speranza”, distributori semplici e gioiosi dell’alleluia pasquale».
È il ponte dei «cirenei della gioia», servi per amore dell’umanità.

IL PONTE «VERA RICCHEZZA»
«I poveri sono realmente ricchezza della Chiesa. – Ricordacelo ancora, don Tonino –, di fronte alla tentazione ricorrente di accodarci dietro ai potenti di turno, di  ricercare privilegi, di adagiarci in una vita comoda».
Niente ponti-scorciatoia! E neppure segni del potere, sulle campate!

IL PONTE «PROSSIMITÀ»
«Don Tonino non teorizza la vicinanza ai poveri, ci richiama a stare loro vicino, come ha fatto Gesù, che per noi, da ricco che era, si è fatto povero (2 Cor 8,9)».
Per questo occorre cercarlo anche sotto i ponti!

IL PONTE «VOLTI RIVOLTI»
«La pace è convivialità, dove l’altro è un volto da scoprire, da contemplare, da accarezzare». «I conflitti e tutte le guerre trovano la loro radice nella dissolvenza dei volti».
È il ponte dei «volti rivolti».

IL PONTE «DEI CONTEMPLATTIVI»
«Don Tonino ha coniato una parola originale che tramanda a ciascuno di noi una grande missione: contempl-attivo, che non separa mai preghiera e azione. Ridestaci, allora, alla nostra vocazione, senza immobilismi né giustificazioni».
È il ponte «degli innamorati di Dio e degli appassionati dell’uomo».

Dedicato a chi intende osare architetture audaci.

Renato Brucoli, * 6 maggio 2018, diario…