Ogni volta che tornavo nel mio paese, andavo a trovarlo. 2
Ultimamente si era incurvato, e gli tremavano le mani. Ma per me è rimasto sempre il «maestro d’un tempo».
Tornavo da lui per un dovere di gratitudine. Ma, soprattutto, condotto dalla speranza. Chi sa, mi dicevo, che non abbia, come nelle fiabe che ci raccontava in quarta elementare, una noce misteriosa da farmi schiacciare nei momenti difficili!
Guardavo con stupore infinito, nell’armadietto di sempre, i pochi libri foderati con la carta velina: Le avventure di Pinocchio, Cuore, Le Fiabe dei fratelli Grimm, L’isola misteriosa, Un capitano di quindici anni… era tutta la sua biblioteca. Ma per me conteneva più segreti della Biblioteca Vaticana.
Di tutti gli insegnanti che ho avuto, lui era l’unico a provare soggezione di me. Me ne accorgevo dall’imbarazzo con cui, nel discorso, passava dal «lei» al «tu». Mi hanno detto anche che era fiero di avermi avuto come discepolo.
Forse, però non ha mai saputo che se ancora tornavo da lui era perché avevo il presentimento che mi avrebbe aiutato a risolvere, come un tempo, qualche altro complicato problema, per il quale non mi bastavano più le quattro operazioni dell’aritmetica che egli mi aveva insegnato.
Ogni volta che lo lasciavo, sentivo di avergli rubato spezzoni di mistero. Quegli spezzoni che a scuola ci sottraeva volutamente, senza che noi ce ne accorgessimo.
Sì, perché lui aveva l’incredibile capacità di non spiegarci mai tutto, e per ogni cosa lasciava un ampio margine d’arcano, non so se per stimolare la nostra ricerca o per alimentare il nostro stupore. Perché l’arcobaleno dura così poco nel cielo? E che cosa fa Dio tutto il giorno? Perché le farfalle lasciano l’argento sulle dita? Perché Gesù ha fatto nascere così il povero Nico, che veniva a scuola sulla carrozzella spinta dalla nonna? Perché si muore anche a dieci anni, come la sua bambina, e noi scolari quel giorno andammo tutti in chiesa a pregare per lei?
Non aveva l’ansia di rivelarci tutto. Non era malato di onnipotenza culturale. E neppure ci imponeva le sue spiegazioni. Qualche volta sembrava che fosse lui a chiederle a noi.
Ma quando, dopo gli acquazzoni di primavera spuntava l’arcobaleno, ci conduceva fuori per contemplarne la tenerezza dei colori. E, mostrandoci le rondini che garrivano nel cielo, ci diceva che non dovevamo abbatterle con le nostre frecce di gomma, perché Dio la sera le conta una a una. E ci raccontava che le farfalle, l’argento, andavano a prenderlo tra le erbe profumate dei crepacci. E a Nico gli restituiva la gioia di esserci, perché gli scompigliava sempre i capelli, a lui solo, e, durante le passeggiate scolastiche, gli faceva tenere la sua borsa, con la merenda del maestro. E quando morì la sua bambina, lo vedemmo piangere di nascosto.
Forse la grandezza del mio maestro era tutta qui. In questa sua capacità di comunicare messaggi profondi più col silenzio che con la parola, di lavorare su domande legittime, di non tirare mai conclusioni per tutti, di costruire occasioni di crescita reciproca, di accettare le differenze come un dono, di ritenere i suoi ragazzi titolari di una forte capacità progettuale, di dare più peso alla sfera relazionale che a quella istruzionistica, di interpretare la scuola come un gioco, anzi come una festa in cui il primo a divertirsi era lui.
Vorrei augurarvi che i vostri ragazzi provino per voi gli stessi sentimenti che ho provato io per il mio vecchio maestro delle elementari.
Statene certi: se volete bene a Gesù Cristo e vi animerà una forte passione di trasmettere la sua verità, essi, i vostri ragazzi di oggi, un giorno verranno a farvi visita.
Sì, perché anche se saranno divenuti professori della Gregoriana, torneranno da voi per recuperare quei frammenti di mistero, di cui non hanno ancora trovato spiegazione neppure sui libri di teologia.
don Tonino
Trascrizione online | A cura della Redazione dontoninobello.info
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