Il tuffo dallo scoglio (ossia lo scherzo a mamma Maria)
Il seminario estivo ha l’ingresso secondario sulla litoranea, in un tratto in curva dal traffico intenso, oltre il quale, protetto da un muretto, c’è lo strapiombo roccioso del mare. Dalla veranda della villa quello squarcio sul mare è suggestivo. «Vedi, mamma, che spettacolo – commentava don Tonino, indicando il panorama alla madre – ma ancora più bello è all’ora del bagno, quando, al mio via, il cancelletto si apre e i ragazzi si tuffano a mare dallo strapiombo, attraversando di corsa la strada». La madre, sbiancata in volto, riprendeva il figlio: Tonino, ma si pacciu, e se i vagnoni se ccidene? [Tonino, ma sei pazzo, e se i ragazzi si ammazzano!] E lui, di rimando: mamma, sta tranquilla, l’aggiu mparati a natare [Mamma, stai tranquilla, gli ho insegnato a nuotare!]
“Truppe dislocate nelle varie postazioni, attenzione! Vi giungeranno fra poco le notificazioni per la villeggiatura. Intanto, preparatevi pinne, canotti, pistole subacque, taraddi d’orgiu, in attesa di partire”.
Con questo proclama don Tonino preparò (luglio 1962) gli animi alla villeggiatura del 1962. Nel suo immaginario il mese al mare doveva ripagarci dei sacrifici dell’intero anno e delle fatiche scolastiche e di questi significati caricava la villeggiatura estiva già dai mesi invernali, quando voleva allentare la tensione della scuola, accendendo la nostra fantasia con l’attesa di gite in battello, passeggiate sotto le stelle, canzoni in riva al mare, tornei sportivi, giochi acquatici… […]
* * *
Ogni primo giorno di villeggiatura distribuiva sempre gli incarichi e preparava con cura ogni dettaglio organizzativo perché l’avventura si svolgesse al meglio […]
Poi, finalmente, la villeggiatura arrivava davvero e lui dava inizio alla festa abbandonandosi al suo entusiasmo.
Di quel periodo abbiamo dal 1962 al 1965 il resoconto giornaliero su Antenna, una messe di informazioni (il suo diario di redazione) che ci restituisce fedelmente il clima di quelle giornate. Nella prefazione dell’edizione estiva del 1962, don Tonino scrisse: “ogni foglio racchiude e ricorda una giornata di villeggiatura che altrimenti sarebbe stata sepolta nell’oblìo. Ogni pagina è la piccola foglia di un fiore che non appassisce, ma acquista un profumo più intenso man mano che passano gli anni.”
La villeggiatura si identificava in modo speciale con il bagno nelle limpide acque del mare di Tricase, in una suggestiva insenatura tra gli scogli, a pochi passi dalla villa.
Il bagno esercitava su don Tonino un fascino irresistibile. Per nessuna cosa al mondo vi avrebbe rinunciato. La sera del 3 settembre 1982, il giorno prima della sua consacrazione episcopale, si trattenne in casa mia per il compleanno di mia figlia Ada e in quel clima festoso fu protagonista di una performance di singolare vivacità, scherzando sulla impossibile rinuncia ai bagni di mare, ai quali mai avrebbe abdicato, dicendosi pronto a indossare le mutandine e le pinne rosse… che la sua nuova condizione richiedevano.
Il bagno lo rendeva più scanzonato del solito e, poiché la sua ilarità era contagiosa, in quell’ora eravamo tutti più euforici. Si era attribuito l’appellativo di squalo e pirata del mare, riferendosi alla supremazia nelle “ncapuzzate”, nelle quali dominava per il suo fisico possente. Le “ncapuzzate” cui sottoponeva le sue vittime si distinguevano in semplici se l’affondamento avveniva con le mani, e doppie se continuava con la spinta dei piedi. Chi resisteva, tentando un duello, finiva presto per soccombere ed anche le coalizioni erano inefficaci, perché don Tonino, mutuando la tecnica degli Orazi, si liberava uno ad uno degli avversari, schiumando vittorioso.
Coraggio! Scrisse a questo proposito su Antenna, fingendosi cronista di parte avversa.
«Coraggio, è stato organizzato finalmente uno dei più formidabili complotti per affondare in mare don Tonino. E’ stato un combattimento entusiasmante, anche se ne abbiamo riportato la peggio, subendo parecchi danni. Però, a detta dello stesso “squalo” il bello di quest’anno, è che si è avuto il coraggio di organizzare simile impresa, la quale, sempre a detta sua, tra dieci anni, potrà essere realizzata finalmente con risultato positivo. »
* * *
E ancora, nel 2 agosto del 1965, nel primo giorno di villeggiatura di quell’anno, immaginando quel mese come una traversata e la veranda di fronte la mare, come la tolda della nave, scriveva:
«Eccoci di nuovo insieme, per un mese. Per il mese che nelle melanconiche giornate d’inverno, ricurvo sui libri di scuola avrai tante volte sognato. Occhio alla rotta. Mano al timone. Raddrizza il cammino e scruta lontano sul mare. Su questo mare che al di là dell’orizzonte accarezza spiagge solitarie, e lambisce arene sconosciute… Su questo mare che ti risveglia nel petto un misterioso desiderio di terre lontane… su questo mare che con la sua quiete e con le sue paurose bufere ti parla della sconfinata grandezza di Dio».
Il mare come immagine di Dio ritorna nella Preghiera in riva al mare, scritta nel luglio del 1962 a Tricase Porto.
Il mare era sempre di fronte a noi, e diveniva per 30 giorni nostro sorvegliato speciale. Dalla grande veranda coglievamo i sintomi della bonaccia (che speravamo durasse), alla quale la distesa si disponeva nelle ore vespertine o, più spesso, scrutavamo il gonfiarsi delle onde sotto il vento della tramontana, con qualche apprensione per il bagno del giorno dopo. In lontananza si vedevano guizzare tonni e delfini e la sera «scintillavano sulle acque le lampare, tremolando sull’onde». Don Tonino si beava dello spettacolo e ogni sera, prima di congedarci per la notte, ripeteva in mille varianti preghiere come questa.
Preghiera in riva al mare
Benedetto sia Tu, o mio Dio, per il mare, che hai fatto blu
e l’hai gonfiato di onde che si muovono.
Per i flutti che hai fatto glauchi
E con le bianche creste di schiuma.
Per il sole che getta tanto fuoco sul mare.
Per il cielo che hai fatto tutto scintillante di luci
e per la gioia profonda che ci dai
quando ci tuffiamo nelle acque refrigeranti
e per questa grandezza che ci circonda, facci comprendere
o Signore, che siamo piccoli, e abbiamo bisogno di Te.
Sulle medesime corde è modulata la Preghiera del riccio. La stagione estiva del 1965 l’avevamo dedicata alla pesca dei ricci. Il gruppo dei “Rizzieri” (Mario Rizzo, D’Amico Rocco, Antonio Benegiamo ed io) scendeva sul fondale fino a 6-7 metri e risaliva carico di ricci. Quando il contenitore di superficie era pieno, aprivamo i ricci ai compagni per poche lire. Il guadagno fu consistente e finanziammo l’acquisto di un frigorifero per gelati.
Don Tonino, pesce di superficie, non s’immergeva con noi, però ci seguiva e ci incoraggiava. Scrisse per noi la preghiera del riccio, degna delle fiabe sottomarine di Walt Disney, impreziosita dal richiamo al Signore, cui lo riportavano le valli di alghe e di madrepore, dove il riccio dimora.
Preghiera del riccio
Ti ringrazio, o Signore,
per le profondità del mare,
che mi hai dato come dimora.
Per le valli sconfinate di alghe e di madrepore
che mi hai date come compagne.
Per la moltitudine dei pesci,
che mi guizzano velocemente d’intorno.
Per l’incanto del paesaggio,
fatto miracolosamente sbocciare
dai raggi del sole.
Per il misterioso silenzio
degli abissi
che Tu hai creato
mentre ti libravi sulle acque.
Grazie, Signore,
per gli aculei pungenti che mi hai dato,
a difesa dagli attacchi
di tutti gli abitatori del mare.
Grazie,
per l’onore che mi dai
quando l’uomo,
fatto a tua immagine,
violando il segreto degli abissi,
mi coglie
per assaporare sulla sua mensa
il mio profumato corallo.
* * *
Negli ultimi giorni del mese, la partenza vicina dava la stura alla sua vena melanconica. Il 30 di agosto di ogni anno nascevano sui tasti della sua Olivetti 22 i pezzi nostalgici della partenza, come Rimanere Bambini del 1963… anche i muri erano incrostati di ricordi e il brandello di canottiera appesa al chiodo sulla veranda era il simbolo di un brandello della giovinezza impigliata tra i chiodi di quelle pareti…
Rimanere bambini
«Settembre! Andiamo è tempo di migrare… C’è qualcosa di malinconico persino nel nome di questo magico mese che ti fa pensare ai pampini delle viti rigogliose, alle zolle rimestate dall’aratro, agli esami di riparazione… alle pagine dell’antologia dove è riportata la poesia di D’Annunzio, con un profilo di pastore in cima e con la greggia che cammina lunghesso il litorale producendo quell’isciacquio che ti fa venire nelle ossa un brivido di nostalgia… Settembre! Adesso ce ne andiamo anche noi: dopodomani ritorneremo nelle nostre case, e di refrigerio non avremo più che la pioggerella di qualche meriggio d’autunno. Ce ne andiamo. Ma lasceremo qui un cumulo di ricordi senza nome… In quel rettangolo di giardino, le nostre vittorie e le nostre sconfitte a pallavolo…su quella veranda spalancata sul mare, le avvincenti letture, gli esami di coscienza e qualche brandello di canottiera che ritroveremo l’anno venturo… nei dormitori le nostre soporose dormite pomeridiane e i gusci delle noccioline americane schiacciate a contrabbando… Ma c’è una cosa che non vorremmo lasciare mai: la nostra fanciullezza spensierata e serena. Siamo tutti ridiventati bambini in questi giorni, anche i più grandi, anche i superiori. E vorremmo tanto che questo fondo di fanciullezza ci accompagnasse sempre, in ogni momento della vita. Rimanere bambini, semplici come loro, senza complicazioni e senza grovigli come loro. Capaci di sorridere sempre, di accanirsi ancora nel gioco, di litigare per un punto e di dimenticare e di volerci subito bene. Arrivederci, villa ospitale di Tricase Porto, incrostata dei ricordi più belli della nostra piccola vita! Arrivederci, brandello della mia canottiera, simbolo di un brandello della mia fanciullezza che resta impigliata tenacemente tra i chiodi di queste pareti… Quest’inverno sventolerai melanconicamente sulla veranda gelida e deserta, squassata dalla bufera, ma non ti staccherà neppure, nelle notti di tempesta… l’impeto della tramontana…»
Altrettanto vibranti di commozione i toni della Preghiera della partenza, scritta nel 1964, al momento dell’addio dopo il mese di agosto.
Stasera partiremo
O Cristo Signore,
nell’attimo in cui tramonta
il mese del nostro sereno riposo,
e noi stiamo per lasciare questo luogo incantevole
preparatoci dalla tua bontà,
noi vogliamo ringraziarti…
Rimani sempre con noi,
come sei rimasto in questi giorni,
in cui ti abbiamo visto
riflesso nel volto dei nostri Superiori
e dei nostri compagni…
Rimani sempre con noi,
imprigionato nella nostra vita.
Rimani soprattutto nei momenti
della tristezza e della prova…
Nemmeno questo mare che lasciamo stasera
E’ sempre tranquilllo…
D’inverno infurieranno le tempeste,
si scateneranno le burrasche,
e fremerà sotto la scoglierai
l ruggito pauroso delle onde…
Ma poi tornerà primavera…
Se tu però rimani con noi,
non temeremo l’inverno
della malinconia,
o Cristo Signore,
che tra le indicibili sofferenze
della Croce
ci hai riconquistato la gioia.
L’addio del 1965 è dedicato ai più grandi che si accingono a lasciare la sua tutela correndo verso nuove esperienze. S’intitola CORRERE ed è una sorta di investitura a proseguire la missione che lui si era data di “…correre senza risparmio, donando la gioia.”. E’ una pagina a me particolarmente cara perché l’ho vista nascere di getto sulla sua Olivetti, mentre aspettavo di chiudere con gli altri redattori l’ultimo numero di Antenna estiva.
Correre
Ed eccoci giunti al termine
delle nostre vacanze a Tricase Porto.
E’ passato un mese veloce come un baleno
e lieto come una canzone di primavera…
Domani ce ne andremo a casa,
portandoci dietro l’incancellabile ricordo
di questi trenta giorni meravigliosi,
e lasciando qui,in ogni angolo della villa,
le orme del nostro rumoroso passaggio:
canne da pesca,
brandelli di canottiera,
foglietti di grammatiche,
sedie azzoppate,
grovigli di reti,
e laggiù, in fondo, un guscio di riccio…
Stasera si spegneranno gli ultimi canti,
echeggeranno le ultime risate.
Ma in questo malinconico crepuscolo di gioia,
noi avvertiamo che,
al di là di queste pareti incrostate di ricordi,
al di là del giardino tra i cui alberi
il vento sta già provando
un delicato preludio autunnale,
al di là di questo mare brontolone…
noi lasciamo qui una bellissima parentesi
della nostra giovinezza,
le cui vibrazioni di fraternità e di grazia
non potranno ripetersi più
con le identiche sfumature.
Domani ce ne andremo,
portando nel cuore il desiderio di donarci.
La nostra corsa riprende.
Dopo il riposo nuove tappe ci attendono,
dure, faticose, estenuanti.
Ma non possiamo fermarci:
bisogna correre fino allo spasimo.
Ai margini delle strade del mondo
su cui passiamo veloci,
c’è gente che attende
il carezzevole fruscio del nostro passaggio…
Al traguardo, c’è una moltitudine sterminata
che aspetta con ansiala nostra vittoria.
Coraggio! Corriamo senza risparmio,
donando la gioia.
E costruiremo così, pedalata su pedalata,
il nostro destino.
(Abel, allenatore)
* Antonio Scarascia, DON TONINO BELLO EDUCATORE, 2009 & MyBook, pg. 61-77
Trascrizione online | A cura della Redazione dontoninobello.info
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