di Marcello Bello 1
scusami se con la presente ti distrarrò per un poco dalla contemplazione del volto di Dio, in cui penso che ora sarai perennemente immerso; ma la gente, il tuo popolo, i tuoi “poveri” vogliono sentir parlare di te e della tua vita, del tuo operato in mezzo a noi.
Questa sera è toccato a me prendere la parola e per questo, sapendo tu quanto io sia scarso nell’arte oratoria, mi perdonerai se ricorro allo stile epistolare del resto a te tanto caro.
Una montagna di ricordi mi tornano alla mente; ma naturalmente non starò qui a registrarli tutti come facesti tu per tenermi sveglio alla guida quella sera quando, in una delle tue tante peregrinazioni su e giù per l’Italia, ti accompagnai da Molfetta ad Ancona e viceversa con conferenza, dibattito e veglia di Preghiera per il decennale della morte del Vescovo Romero inclusi.
I ricordi più pregnanti, fino alla tua ordinazione Sacerdotale, sono quelli dell’attesa: c’era sempre una gran festa quando rientravi per brevi periodi dal Seminario di Ugento prima e poi da Molfetta e poi da Bologna. Ci preparavamo con giorni e giorni di anticipo, io e Trifone, e tu ci ricompensavi di queste attese con una presenza sempre nuova e più ricca, che integrava la pur straordinaria educazione sociale, culturale e religiosa che ci impartiva nostra madre.
Poi, per un po’ di tempo, ci siamo persi di vista e il tramite che ci univa (tu per continuare a donarmi e io per ricevere) è stata sempre la presenza saggia ed umile della mamma che con la sua serenità e i suoi sacrifici ci ha spalancato la via all’Umanità.
Di quanto intenso e fecondo sia stato questo tuo periodo avevo solo una pallida idea. Me ne sto rendendo pienamente conto solo ora che mi accingo a mettere in ordine le tue “carte”, la tua eredità, da cui vengono fuori le tue grandi battaglie (non c’è che dire: sei sempre stato in trincea!) nella campagna contro il divorzio, in quella contro l’aborto e contro la droga.
E mentre eri impegnato nella crescita sociale e religiosa del tuo mondo fatto di giovani, mi facevi capire l’importanza e la necessità del ritorno alla terra d’origine, il nostro Sud, da cui bisognava sradicare l’acquiescente passività con l’indispensabile contributo di ciascuno di noi; mi parlavi della bellezza della famiglia, che, secondo te, è il primo laboratorio di Giustizia e di Pace. E così anch’io me ne tornai dalla tua cara Bologna, dove come te avevo completato i miei studi. Ed ebbi modo di seguirti più da vicino.
Incominciasti così, forse anche con un po’ di timore, la tua missione nella città di Tricase che, in poco più di tre anni, riuscisti a plasmare sulla cadenza della tua parola non disgiunta dai tuoi gesti; fino al punto che, quando arrivò la “brutta” notizia del tuo trasferimento ad altri incarichi, ne pianse l’intera popolazione insieme a te.
Forse in molti, tra coloro che ti stimavano come prete dai gesti concreti, in quel lontano autunno di venticinque anni fa, avranno temuto che la Mitria mummificasse la tua personalità; una risposta tranquillizzante arrivò dopo appena pochi giorni del tuo Episcopato, quando si diffuse la notizia che eri stato denunciato alla Magistratura per aver partecipato ad un blocco stradale organizzato dai lavoratori delle acciaierie di Giovinazzo, minacciati di licenziamento.
A fatica ti allontanasti dalla riva per prendere il largo; e ti portasti a Molfetta col tuo zaino privo di oro e di argento ma ricco di tanta umiltà e povertà. Ti presentasti col Pastorale e la Croce di legno d’ulivo, dono dei tuoi compaesani; con al dito la fede matrimoniale della mamma come anello pastorale e con lo stemma raffigurante la Croce Alata di Alessano con un chiarissimo programma come motto “ascoltino gli umili e si rallegrino”.
Anche dai Molfettesi, popolo orgoglioso della propria cultura e delle sue antiche tradizioni, sconcertati in un primo tempo dalla povertà dei tuoi “segni del potere”, ti facesti subito amare per la fecondità della tua parola e per la essenzialità dei tuoi gesti. Ed ora vivono anche loro l’attesa della splendida stagione della “fioritura della primavera che inonderà il mondo”.
Poi, quando nel 1985 il tuo maestro e discepolo monsignor Bettazzi ti propose alla Presidenza Nazionale di Pax Christi, diventasti la voce più inquieta e trascinante del pacifismo cattolico. Hai impresso una svolta determinante all’associazione e il tuo gridare a voce alta la Pace, l’antirazzismo, l’accoglienza delle diversità, la convivialità delle differenze, il riscatto del nostro Sud e di tutti i sud del mondo ha varcato i confini della tua Diocesi e della Nazione.
Grazie a te, Molfetta è diventata da allora la culla dove si sono riposte le speranze dell’Umanità non violenta, il punto di riferimento dove convergono gli ideali di tanti giovani che, nonostante tutto, guardano ad un futuro di bontà e di onestà riflettendosi nella trasparenza dei tuoi occhi e del tuo stile di vita.
Ti voglio bene Tonino e ti ringrazio per la splendida poesia, per la calda umanità che hai profuso nelle lettere a Massimo ladro e a Giuseppe avanzo di galera, che hanno accarezzato l’animo dei miei figli Stefano e Federica. Ti ringrazio per le tue “parole d’amore” che hanno trasfigurato il volto di Francesca e Raffaella.
Ho pianto e ho compartecipato alla tua sofferenza per l’incomprensione e la solitudine in cui ti sei ritrovato durante la guerra del Golfo e nella polemica sull’installazione degli F16 in terra di Puglia.
Ho condiviso la tua pena e la tua tristezza quando ti ho visto dagli schermi televisivi, in pieno agosto, in mezzo ad una fiumana di profughi Albanesi, là sul molo del porto di Bari, a denunciare con passione l’assenza dello Stato, già impegnato nella più proficua attività di tangentopoli, attirandoti addosso anche l’ira e il sarcasmo del Ministro degli Interni.
Ti ringraziamo tutti per il tuo tanto soffrire sulla tua cattedra del dolore vissuto con grande dignità. Sei stato uomo fino in “cima” nella tua sofferenza quando, dalla penombra della tua camera, come gli antichi Patriarchi, hai alzato la mano benedicente sul capo di tutti coloro che si inginocchiavano al tuo capezzale, dai tuoi Confratelli ai vecchi coinquilini d’Episcopio; e da ognuno di loro ti sei fatto benedire. Hai trasmesso in noi tanta pace e tanta serenità e non abbiamo più paura.
Quella notte, nella veglia della tua Resurrezione, mi sono ritornati alla mente gli interrogativi della tua bellissima cantica pasquale: “che faranno gli alberi stasera quando Suonano a stormo le campane? Le piante del giardino spanderanno insieme come turiboli d’argento la gloria delle loro resine? E gli animali del bosco ululeranno i loro concerti mentre in Chiesa si canta l’Exultet? Come reagirà il mare che brontola sotto la scogliera all’annuncio della Resurrezione? L’angelo dalle bianche vesti farà tremare le porte dei postriboli? Oltre i cancelli del cimitero sussulteranno, sotto il plenilunio, le tombe dei morti? E le montagne, non viste da nessuno, danzeranno di gioia intorno alle convalli?”.
Quando, in quell’assolata giornata del 12 agosto 1991, dagli schermi televisivi rimbalzò la notizia della tua proposta di “dar vita ad una grande forza di Pace soprannazionale che invadesse le zone di guerra”, capii veramente, forse anche con un brutto presentimento, che stavi raggiungendo il momento supremo della tua profezia e del tuo sacrificio, sì, il tuo sacrificio per tutta l’umanità, perché in quel momento sei diventato veramente l’uomo planetario.
Ci tenesti col fiato sospeso e incollati per una intera settimana davanti al televisore, finché non abbiamo sentito dalla tua voce, da quel teatro di Sarajevo illuminato dalla fioca luce di poche candele, che “l’ONU dei potenti si ferma alle quattro del pomeriggio, mentre l’ONU dei poveri si muove anche di sera”.
Ed ora Tonino, che con l’ostinatezza di noi meridionali ci hai additato la strada liberatoria verso la salvezza facendoci intravedere il tempo in cui il lupo e l’agnello, la pantera e il capretto, la mucca e l’orsa coabiteranno pacifici, liberaci dal pericolo che tutta la forza prorompente della tua profezia possa essere imprigionata in un cliché di santità che potrebbe “normalizzarti”, ora che non sei più con noi.
Nessuno osi pensare che, con la tua morte, sia tutto finito. In quella tomba, che hai voluto nella tua cara Alessano, non ci sono resti, ma semi che daranno frutti abbondanti come hanno promesso le migliaia di ragazzi e ragazze che ti hanno detto “ciao don Tonino, continueremo a sognare ad occhi aperti cieli nuovi e terre nuove”.
Rimani sempre “il folle di Dio” e “il Pastore diverso” che in quel vespro del 22 aprile, con l’altare rivolto al mare, racchiuso in una cassa di legno, su di un palco di nuda pietra, all’aperto, in mezzo alla folla sterminata della tua gente, facesti sfogliare con la complicità dello Spirito l’Evangelo, unico sostentamento della nostra povertà.
Ci hai lasciato un vuoto in verità molto difficilmente colmabile. Mancherai al popolo della Pace, agli ultimi, ai costruttori di Giustizia, alla Chiesa.
Ti promettiamo però che dalla Fondazione intitolata al tuo nome, con la collaborazione di quanti ti hanno conosciuto e stimato partiranno come fiumi i tuoi preziosi insegnamenti che inonderanno le menti fertili e le speranze dei nostri giovani.
Tutti qui stasera, dai più giovani ai più anziani che hanno voluto sentir parlare ancora di te, tutti i tuoi poveri, ad uno ad uno, ti diciamo “ti voglio bene”.
Ciao, Tonino, un bacione forte forte Marcello.
P.S. appena incontri la mamma e papà abbracciali da parte mia e di Trifone e ringraziali di averti donato a noi.
Trascrizione online | A cura della Redazione dontoninobello.info
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- Fonte * Il Grembiule, Notiziario della Fondazione Don Tonino Bello, Numero 23, Ottobre 2008