“Oh, che gioia,
ce ne andiamo nella casa del Signore!”
E aggiungeva:
“Le valige sono pronte, posso partire!”
1 Ce lo ricorderemo sempre così, come lo riproducono i quadri che troppo poco sono rimasti appesi alle pareti delle nostre case, e che tra qualche giorno toglieremo con amaro rimpianto, temperato solo dalla gioia di sostituirne un altro. Sorridente, cordiale, seduto su quella sedia dalla quale sembrava scappare, tanta è l’espressività della sua persona tutta protesa in avanti, come per aiutare chi è seduto ai suoi piedi.
Ce lo ricorderemo con quel suo gesto misurato e affettuoso delle mani con cui accompagnava ogni volta le ultime parole della benedizione apostolica, quasi volesse trattenerla e inchiodarla sulle teste degli uomini, la benedizione di Dio: «Descendat super vos et maneat semper».
Tutti gli hanno voluto bene, perché ognuno ha trovato in Papa Giovanni la parte migliore di sé. Ma c’era soprattutto quel sorriso aperto e naturale, incline a tradursi spesso in una scintillante battuta umoristica, che lo accostava profondamente alla nostra umanità bisognosa di sorridere, che lo faceva insomma uno di noi. E questo sottofondo di buon umore non l’ha abbandonato neppure sul letto di morte, anzi neppure in quei brevi intervalli di coscienza della lunga e penosa agonia. Quando gli fecero capire che il suo stato era grave, senza scomporsi, se ne uscì con un versetto del salmo: «Laetatus sum in iis quae dicta sunt mihi: in domus Domini ibimus», «Oh, che gioia, ce ne andiamo nella casa del Signore!» E aggiungeva: «Le valige sono pronte, posso partire!». E al medico che si schermiva di ricevere in dono la penna stilografica del Papa morente, egli con un filo di voce e con mezzo sorriso sulle pallide labbra insisteva: «La prenda, non è poi tanto vecchia e scrive ancora…». E chi può dire la freschezza delle sue trovate nei discorsi che impiantava lì alla buona, senza creare distanze… «Buon anno, buon anno, una, due, tre volte…», diceva ai Romani, affacciato alla sua finestra. Chi sa quante cose diceva a quei bimbi degli ospedali che egli si recava così spesso a visitare. Una volta in una clinica romana, dove era andato a trovare gli infermi, gli porsero un microfono perché egli, il santo Padre, dicesse qualche parola; e lui, accettando con tanta amabilità, cominciò: «Miei cari, sono venuto per esercitare un’opera di misericordia corporale, visitare gli infermi; ma non voglio, a causa mia, abbiate a praticare quell’altra che dice: sopportare le persone moleste…». A un bambino che gli porgeva un mazzo di fiori domandò sorridendogli con una carezza: «Come ti chiami?». «Arcangelo, Santità». «Bravo, sei più importante di me; io sono solo Angelo». Sì, adesso il Papa starà scherzando con gli angeli in cielo, ma vorremmo tanto che la spedisse sulla terra una pioggia di gioia, e magari… l’inchiodasse ancora una volta, con gesto benedicente delle sue mani, sulle teste degli uomini, bisognosi di sorridere.
Antologia degli Scritti, Parte 0 – La terra dei miei sogni, pgg. 129-130
Trascrizione online | A cura della Redazione dontoninobello.info
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- * Ricordo affettuoso del "Papa della bontà" in occasione del suo santo transito. In Antonio Scarascia, La vita è bella. Don Tonino educatore (1958-1976), Ed Insieme, Terlizzi 2010, 120-121. Da Antenna, periodico ciclostilato del Seminario vescovile di Ugento, n. 6, 13 giugno 1963.