Popolo mio carissimo di Alessano, dal cui grembo materno io mi glorio di nascere, Ti saluto e Ti benedico nel Nome del Signore.
Gente della mia terra dolcissima, vorrei dirti tante cose in questo momento, ma l’emozione mi gonfia il cuore, mi serra la gola e mi impedisce di di dare ordine ai miei sentimenti. La prima cosa, però, che avverto prepotente dentro di me e che sento di doverti esprimere è la mia gratitudine.
Grazie terra mia, piccola e povera, che mi hai fatto nascere povero come te, ma che proprio per questo mi hai dato la ricchezza incomparabile di capire i poveri e di potermi oggi disporre a servirli.
Grazie culla tenerissima della mia infanzia, dove ho conosciuto sì le prime amarezze della vita, ma dove ho anche sperimentato le cose semplici e pulite di cui vivono gli umili: tepori di focolari nelle sere d’inverno, preghiere mormorate attorno alla tavola, sapore di pane (solo pane), profumi di campo e di bucato, interminabili veglie, all’aperto, nelle notti d’estate, in cui il racconto dei più vecchi si caricava di inesprimibili nostalgie e fermava per un poco i sogni dei più giovani.
Grazie mio paese natale, perché facendomi innamorare di te, delle tue strade e delle tue case, delle tue viottole di campagna e dei tuoi palazzi austeri, dei meriggi assolati sulle tue piazze deserte e dei tuoi tramonti suggestivi dietro “i cianci”, delle tue bufere e delle tue quietitudini solenni contemplate dalla vasca, mi hai introdotto ad innamorarmi di Dio, autore del creato.
Grazie chiesa di Alessano, che mi hai partorito alla fede con il battesimo e mi hai corroborato con la cresima e mi hai nutrito con l’Eucaristia, e mi hai rigenerato con il sacramento del perdono, e sei stato il cenacolo della mia pentecoste sacerdotale.
Grazie tempio stupendo, patria di tutti, caro al cuore degli alessanesi, più di quanto non lo sia la propria casa. Grazie perché qui dentro sono germinate le mie speranze più belle.
Qui sono fiorite le mie ansie e le mie attese.
Qui, nelle penombre serotine rischiarate da una lampada, sono maturati i miei progetti.
Qui ho appreso la Parola di Dio.
Qui, nelle feste profumate d’incenso, ho vissuto quelle ineffabili solidarietà umane che ti fanno sentire più buono.
Qui, nei momenti di dolore, ho condiviso con tanta gente l’amarezza della morte e il pianto degli sconsolati.
Qui ho vissuto le ebbrezze delle assemblee domenicali annunciate da campane a distesa.
Qui ho scandito i primi rosari gravi e sonnolenti.
Qui tra queste arcate meravigliose sembra che siano impigliate musiche d’organo e lembi di antiche canzoni.
Qui, dove tutti noi alessanesi abbiamo un angolo denso di ricordi e caro alla memoria, c’è anche un posto vuoto, stasera, dove ha pregato mia madre.
Grazie chiesa di Alessano, che mi hai fatto entrare nell’anima il senso del mistero con la tua religiosità popolare, semplice e genuina, scandita da riti solenni, da processioni festose, da catene di preghiere disseminate nell’arco delle stagioni nelle tante chiesette: Madonna del Riposo, San Giuseppe, Sant’Antonio, Assunta, Convento dei Cappuccini, Spirito Santo, Crocifisso...
Grazie chiesa vivente di Alessano, chiesa fatta di pietre umane. Grazie per quello che mi hai dato.
Attraverso Don Carlo, soprattutto, che con affetto materno mi ha guidato, ispirato e sorretto per lunghissimi anni.
Attraverso lo zelo e l’esempio dei Padri Cappuccini e delle Suore.
Attraverso l’apostolato delle Associazioni Ecclesiali.
Attraverso la bontà di tante persone, umili e caritatevoli, e, oggi, attraverso il contagio e l’esemplarità pastorale di don Gigi, del cui dinamismo siamo tutti testimoni.
Grazie Alessano, della cui storia gloriosa e tormentata mi sento parte integrante.
Grazie per tutti questi splendidi valori che tu mi metti nello zaino, nello zaino di me, povero tuo figlio, che si accinge a partire lontano. Tu mi richiami la tenerezza di una madre… che al figlio emigrante gonfia le valigie delle cose migliori, intridendole di lacrime.
Ma oltre al ringraziamento, miei carissimi alessanesi, io desidero esprimervi un augurio. Vedete, noi siamo qui riuniti, non per celebrare l’enfasi della nostra vanagloria cittadina, ma per celebrare la bontà di Dio, che ha visitato il suo popolo e per cantare le sue lodi. Sue e di nessun altro.
Altissimo Onnipotente Bon Signore, Tue son le laudi, la gloria, l’onore et ogni benedizione. A Te solo, Altissimo, se confanno.
E quale modo migliore per celebrare il Signore che ascoltare le provocazioni a cui oggi ci assoggetta la Parola di Dio. E che ci dice oggi la Parola di Dio?
Ecco, il primo comandamento è questo:
Ascolta Alessano, Ascolta Israele. Il Signore, Dio Nostro, è l’unico Signore.
Amerai, dunque, il Signore Dio Tuo con tutto il cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza.
E il secondo è questo:
Amerai il prossimo tuo come te stesso.
Non c’è altro comandamento più importante di questo.
Bene, prima di tutto, io ti auguro, popolo di Alessano, che tu possa scoprire la centralità e l’unicità di Dio Padre, provvidente e buono, che si è rivelato a noi, attraverso Gesù Cristo e ci sospinge tutti all’unità, attraverso lo Spirito Santo.
Miei cari fratelli nella fede, ma anche voi, miei carissimi amici che non condividete le nostre speranze cristiane, chissà quante volte avete sperimentato la scarsa intelligibilità della vostra vita.
Che senso hanno le nostre fatiche e i nostri sudori, le nostre angosce e le nostre gioie, le nostre attese e le nostre speranze, le nostre lacrime, i nostri tormenti, i nostri amori e le nostre delusioni, il nostro vivere e il nostro morire. Ma c’è una direzione verso cui confluiscono le aspirazioni, i dinamismi, i travagli, le macerazioni, i progetti, i fallimenti, le costruzioni dello spirito umano?
Perché mai siamo inquieti? non c’è nulla che copra completamente il nostro bisogno di felicità. E quando pensiamo di aver raggiunto tutto ci accorgiamo che ci manca sempre qualcosa? Da che dipende che, nonostante tanta compagnia, avvertiamo la solitudine; che, nonostante la sincerità di certe amicizie e l’intimità di tanti amori, ci accorgiamo che l’altro ci sfugge; che, nonostante i soldi, i piaceri, gli anni giovanili, ci ritroviamo poveri, vuoti e spregevoli?
E’ Dio che ci manca. Per cui tutto ci sembra slegato, sconnesso, privo di significati profondi.
L’augurio che io rivolgo a me e a voi, miei cari fratelli, è che possiamo riscoprire Dio nella ferialità di tutti i giorni, nel volto dei fratelli, nella storia che noi siamo chiamati a costruire. E una volta che l’abbiamo scoperto, lo ameremo con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze.
Ma c’è un altro augurio che voglio farvi. Il Vangelo di oggi dice:
«Il secondo comandamento è simile al primo… Amerai il prossimo tuo come te stesso».
Che cosa significa per noi di Alessano, oggi, amare il prossimo come Gesù ci ha insegnato?
Significa costruire la storia insieme. Uscire dal terreno delle rivalità che steriliscono gli sforzi dei più generosi. Avviliscono le speranze dei più poveri. Snervano le capacità operative dei più intraprendenti.
Oggi, per noi di Alessano, il comando categorico di Gesù: Ama il prossimo tuo come te stesso si traduce con una sola parola:
Comunione.
Comunione non significa tregua santa, patto di non belligeranza, neutralità disarmata, armistizio temporaneo, federazione provvisoria.
Comunione significa impegnarsi in prima persona, senza delegare troppo facilmente gli altri.
Significa sacrificarsi, perché vadano avanti i progetti migliori, senza guardare l’architetto che li ha concepiti.
Significa riconoscere e apprezzare e incoraggiare quello che di buono fanno anche gli avversari, senza lacerarsi in mille diatribe e vanificare gli sforzi con sottigliezze bizantine.
Significa rinunciare al vuoto di tante sterili discussioni per privilegiare la concretezza dei fatti e la rapidità delle decisioni.
Comunione significa collaborare, interessarsi della cosa pubblica, chiedere conto, non lasciar fare ai più furbi, ma anche significa non circondare tutto di sospetti, di reticenze, di malignità reciproche, di vicendevoli avvilenti squalifiche.
Cari fratelli, amare il prossimo per noi, oggi, non significa solo fare la carità, aiutare gli handicappati, venire incontro agli anziani, visitare gli ammalati… significa anche questo, eccome! Ma c’è un versante sociale, una traduzione comunitaria di questo comandamento che ci impegna tutti, urgentemente, perché si esca dal nostro immobilismo che paralizza la vita pubblica, che avvilisce il nome della nostra città, danneggia i poveri, gli ultimi, quelli che non hanno voce, quelli che non hanno lavoro, quelli che non hanno speranze e diventano i capri espiatori della nostra inettitudine sociale.
Voglia il Signore aiutarvi tutti, miei carissimi concittadini, a ritrovare le strade della comunione e del servizio, e obbedirete così in un modo moderno e convincente al più grande comandamento cristiano: quello dell’Amore.
La benedizione di Dio e anche la mia prima benedizione episcopale scenda su queste speranze e su queste promesse.
+ don Tonino, Vescovo, 31 Ottobre 1982, Chiesa Cattedrale di Alessano (Le)
Trascrizione (audio) | A cura della Redazione dontoninobello.info 1
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